domenica 1 luglio 2012

CI VOGLIONO SCARPE BUONE: marcia europea dei sans papiers e dei migranti a Torino, unica tappa italiana


CI VOGLIONO SCARPE BUONE

La marcia europea dei Sans Papiers e dei migranti 

Torino, unica tappa in Italia


Nina ci vogliono scarpe buone
e gambe belle Lucia
Nina ci vogliono scarpe buone
pane e fortuna e così sia
Ma soprattutto ci vuole coraggio
a trascinare le nostre suole
da una terra che ci odia
ad un'altra che non ci vuole
Ivano Fossati, Pane e coraggio

Torino, 26 giugno 2012 - La marche des Sans Papiers est arrivé

Certo che ci vogliono scarpe buone, anche se non tutti le hanno. Ci vogliono per attraversare a piedi ben sei frontiere d’Europa, quelle tra Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo, Francia, Germania, Svizzera e Italia: la Marcia Europea dei Sans Papiers e dei migranti è giunta a Torino, unica tappa italiana, che li accoglie con accaldata indifferenza. Non sono in molti: 200 marciatori di 28 diverse nazionalità, tutti rigorosamente in pettorina gialla sulla quale campeggia la scritta: Libertà di circolazione e di residenza. Italiani presenti ad accoglierli: pochini. In compenso pare facciano paura alle autorità comunali, perché il corteo è preceduto da uno spiegamento di poliziotti in tenuta di guerra, armati persino di mitragliette.
La voce dei sans papiers
Loro, i sans papiers, hanno suole consumate, sorridono nel loro presentarsi stanchi e impolverati; si siedono a riposare un poco ai margini della via; vendono magliette e il loro giornale autoprodotto (lavoixdessanspapiers.eu.org). 
Ballano al ritmo di molti tamburi
Ballano al ritmo di molti tamburi (rafforzati dalla torinese presenza della banda dei percussionisti in marcia, i Pink), cercano di parlare con le persone che incrociano che, per la maggior parte, nemmeno si fermano: gli italiani hanno i loro problemi, a cui pensare. 
Chi sono, cosa fanno, cosa vogliono i sans papiers, i senza documenti, che arrivano a piedi dal Belgio? Perché nessuno li vuole ascoltare? Non appaiono in televisione, nessun giornalista è presente al corteo né, in seguito, all’assemblea pubblica. Nessun media ne parla, né bene, né male. Semplicemente per l’opinione pubblica nemmeno esistono.

IL MOVIMENTO DEI SANS PAPIERS: CHI SONO
Eppure la vicenda dei Sans Papiers in Francia non è un episodio isolato e inascoltato nel mare della cronaca della disperazione dei migranti. Il 18 marzo del 1996, 300 immigrati africani, tra cui quasi la metà bambini, occuparono la chiesa di Saint Ambroise nel centro di Parigi. Arrivavano tutti da paesi in guerra - Mali, Guinea, Senegal, Costa d’Avorio, Mauritania e Togo – ed erano divenuti improvvisamente irregolari dopo anni di residenza in Francia: la commissione che doveva rinnovare il loro status di rifugiati, aveva deciso di negarglielo. Molti genitori si ritrovarono così clandestini con figli neonati considerati cittadini francesi perché lì erano nati. Gli adulti iniziarono un lungo e durissimo sciopero della fame per chiedere l’immediata regolarizzazione di tutti. Lo sciopero scosse le coscienze portando in piazza decine di migliaia di francesi e coinvolgendo anche molti intellettuali, che fecero sentire la loro autorevole voce. Da allora non hanno mai smesso di lottare e organizzarsi per farsi sentire: “Noi siamo un movimento pacifico che lotta per il riconoscimento del diritto di tutti a vivere un’esistenza degna”. dicono nel loro giornale.
Martedì 26 giugno: il corteo arriva a Porta Nuova

MARCIARE E OCCUPARE
“Marciare è il nostro modo di lottare abituale: a Parigi ogni mercoledì, un corteo di Sans Papiers attraversa a piedi le vie della capitale verso un obiettivo preciso: prefettura, ministero, Assemblea Nazionale, Senato, consiglio di Stato, consolato, sedi dei partiti, dei sindacati patronali, centri di detenzione amministrativa. Sono anni che noi manifestiamo così, collettivamente, pacificamente, instancabilmente, spiegando le nostre bandiere, i nostri slogan, i nostri canti, la nostra musica ritmata e i nostri tamburi e la nostra domanda di regolarizzazione. E’ così che occupiamo lo spazio pubblico e catturiamo l’attenzione dei passanti, per spingerli alla riflessione. E sarà così che noi faremo lungo tutta l’Europa, ovunque passeremo con la nostra marcia”.

UNA RETE DI MIGRANTI
Marcia che, come spiega Diallo all’assemblea riunita in piazza Madama Cristina, “è stata organizzata con l’obiettivo di creare una rete di immigrati di tutti i paesi europei” a cui, attraverso l’esempio di quanto avviene in Francia, si intende dare coraggio affinché facciano sentire la propria voce. Spiega Diallo come, nel 1988 “la Francia era come l’Italia di oggi. E’ stato attuando le occupazioni che abbiamo iniziato ad organizzarci. Abbiamo occupato, siamo stati picchiati, alcuni sono morti, ma abbiamo insistito con la lotta. Ho imparato in tanti anni che è importante stare sulla strada, solo così si può ottenere di far sentire la propria voce. Ogni settimana una nostra delegazione viene ricevuta in prefettura a Parigi a parlare di immigrazione”. Proprio qui a Torino i Sans Papiers hanno chiesto un incontro con il prefetto, a cui hanno domandato quali fossero “le regole precise in questa città, per ottenere la regolarizzazione. Non ha saputo o voluto rispondere a questa domanda. Ai politici bisogna chiedere - dice Diallo -, chiedere sempre: sono persone come noi, e non daranno nulla se non si protesta per ottenerlo”.




Loro, i Sans Papiers, hanno suole consumate, l'aria stanca. Hanno marciato lungo tutta l'Europa, mille chilometri in un mese, una media di 33 chilometri al giorno. A piedi. Loro, che hanno attraversato mari e deserti, a cui ogni giorno tocca marciare per ottenere qualsiasi diritto, hanno valicato i confini tra gli Stati "domandando ogni volta ufficialmente alle autorità l'autorizzazione a varcare le diverse frontiere senza documenti e quella di manifestare. Dove non abbiamo ricevuto risposte ufficiali, siamo comunque passati, ritenendo il silenzio come una tacita autorizzazione".



Libertà di circolazione e di residenza
per tutti
IPOCRISIA D’EUROPA E ATTIVAZIONE DI UN QUESTIONARIO
Per far questo si sono appellati alla “dichiarazione del 1948”, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (art.14: ogni individuo ha diritto di cercare e di godere in altri Paesi asilo dalle persecuzioni; art. 15: ogni individuo ha diritto ad una cittadinanza; nessun individuo potrà essere arbitrariamente privato della sua cittadinanza, né del diritto di mutare cittadinanza - ndr) e rilevano come, nonostante ciò, l’ipocrisia regni sovrana in Europa: “Le politiche sono condotte, in ogni Stato, secondo leggi diverse ma con la dichiarazione esplicita dell’essere obbligati a rispettare le decisioni europee”. La marcia vuole denunciare queste incongruenze, e testimoniare le numerose contraddizioni che esistono nella legislazione dei paesi membri dell’Unione Europea. Questo problema è stato posto alla commissione europea il 2 giugno, alla partenza da Bruxelles. Sembrerebbe abbia prodotto come reazione un questionario on line, disponibile in rete proprio in questi giorni, dove tutti i cittadini europei sono invitati ad esprimersi su queste tematiche
Per partecipare al questionario:

“Quando arriveremo a Strasburgo vogliamo presentare ai deputati europei le nostre proposte per la libertà di circolazione e di residenza dei migranti e per la loro regolarizzazione secondo principi di equità e di ragionevolezza. Vogliamo che, grazie alla presenza della nostra marcia, la politica si interessi a questi problemi. Crediamo necessaria una soluzione – continua Diallo – secondo un principio di uguaglianza dei diritti e non secondo il disegno di un’Europa liberale dove noi non serviamo, dove non siamo persone. La libertà di circolazione non è solamente una questione dei diritti dell’uomo, ma anche di razionalità economica, noi crediamo”. Con la libertà di movimento il migrante, di qualsiasi nazionalità o colore sia, se trova lavoro si insedia, altrimenti riparte. Non resterebbe bloccato in un posto, come avviene ora, a disperdere le sue piccole economie, in una situazione sempre più precaria e dipendente e che non ha altro sbocco se non l’illegalità per la pura sopravvivenza. 

Il corteo attraversa il quartiere San Salvario
AIUTO ALLO SVILUPPO
Altra ipocrisia diventa evidente se solo ci si sofferma a discutere di cifre: le procedure di controllo e repressione hanno un costo molto alto. Anche il rimpatrio assistito, che dovrebbe rappresentare un “aiuto allo sviluppo” altro non è che una delle tante misure di allontanamento dal territorio nazionale: queste pratiche si sono rivelate molto più costose che non l’attuazione della libera circolazione. Il Gisti (www.gisti.org) centro europeo di documentazione sull’immigrazione, ha calcolato che l’espulsione di un clandestino dalla Ue costa in media 30 mila euro. Vengono quindi spesi in tutto, considerato il numero delle persone coinvolte, quasi un miliardo di euro per anno.

LA SITUAZIONE IN ITALIA
In Italia questa situazione è ulteriormente complicata, laddove rimpatrio significa espulsione e accoglienza centri dove le persone non hanno libertà di movimento. “L’emergenza sbarchi – sottolineano gli esponenti dell’Asgi (Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione: www.asgi.it) presenti in assemblea - è diventata un business: i Cara, dove le persone sono tenute in attesa di riconoscimento, costituiscono la prima voce di spesa del programma gestito dalla Protezione Civile. Per ogni allontanamento, per esempio, vengono pagati 5 biglietti aerei che comprendono andata e ritorno per i poliziotti che accompagnano. L’agenzia europea Frontex (per la gestione delle frontiere esterne - ndr) paga per ogni espulsione fatta dal governo 4 mila euro. Tutte le risorse sono di conseguenza investite su questo metodo, che però non funziona perché su 500 mila irregolari viene espulso solo lo 0,7% ogni anno. La gestione di questo problema viene considerata un’emergenza di ordine pubblico dal governo e non un problema di integrazione. Qui in Piemonte c’è stato il caso di Pracatinat, dove 100 persone sono state destinate ad un grande albergo di montagna in mezzo al nulla: un esempio che dimostra come i soldi vengano spesi non per integrare, ma per tenere sotto controllo. L’emergenza Libia ha fatto sì che venissero stipulate convenzioni con persone che non avevano alcuna referenza e conoscenza per accogliere i rifugiati”.

I rappresentanti dell'Asgi all'assemblea di piazza Madama Cristina, mercoledì 27 giugno

Che in Italia si lucri sulla situazione dei più disperati è stato denunciato più e più volte dalla Corte Europea per i Diritti Umani, nella fattispecie per le condizioni di privazione in cui richiedenti asilo e profughi vengono letteralmente detenuti e per la mancanza di politiche di integrazione di base, come il diritto ad avere un tetto e un modo per sostentarsi. Lo testimonia Ali, etiope, da quattro anni a Torino: “Non riesco a vivere la mia condizione di studente perché dormo sempre in un posto diverso. Non sono venuto dall’Etiopia per stare in Italia ma alla fine ho dovuto restare qua. Non posso aiutare la mia famiglia perché non c’è lavoro”. Ali vive in una casa occupata, dove la situazione di sovraffollamento è assolutamente preoccupante: si tratta di persone che hanno terminato il “contratto” che prevedeva il loro mantenimento a cura del Comune di Torino, per un anno soltanto, all’interno di comunità-alloggio grandi e piccole; o anche di richiedenti asilo cui è stata rigettata la domanda, che non possono tornare nel loro paese e vivono di fatto in condizione di clandestinità forzata.

LA LIBIA L’HANNO BOMBARDATA
Un altro profugo non riesce a trattenere la propria rabbia quando parla della sua situazione: “Io lavoravo in Libia. La guerra in Libia l’ha voluta l’Europa. Non ci fosse stata questa guerra noi non saremmo venuti qui. Inoltre la commissione che deve decidere il riconoscimento, ci chiede di dichiarare il nostro paese di provenienza. Ma noi eravamo in Libia, a lavorare. La Libia l’hanno bombardata e noi siamo scappati. In Libia stavamo bene. L’Italia ha le sue responsabilità: se la domanda di riconoscimento non viene accolta ci buttano per la strada. Cosa dovremmo fare? Forse vogliono che diventiamo delinquenti?”. A questo si aggiunge il problema dei bolli: se già prima era faticoso reperire il denaro necessario, ora questa cifra è stata portata, dal governo Monti, a ben 200 euro. Chi di loro potrà pagare? Senza permesso in regola, infatti, si può finire detenuti nei Cie, in attesa di essere identificati ed eventualmente rimpatriati. Rincara la dose la delegazione proveniente da Napoli, che porta con sé la testimonianza di un calciatore: “A Napoli sono stati stanziati 300 mila euro. Non è stato fatto niente per noi, non avevamo nemmeno i soldi per telefonare a casa. E questa è una grave mancanza di libertà. Quando ero calciatore in Libia, avevo un’idea diversa dell’Italia. Ora che sono qui me ne vergogno”. Con buona pace di Balotelli.

SOLIDARIETA’ ALLA VALLE DI SUSA
Loro, i sans papiers, hanno le suole consumate, l’aria stanca, ma continueranno la loro marcia fino in valle di Susa, da Avigliana a Bussoleno rigorosamente a piedi, lungo la statale 25, per venire direttamente a contatto con la popolazione coinvolta: “Noi – scrivono sul loro giornale - siamo qui anche per portare solidarietà alle realtà locali: in Italia quelle dei precari, degli studenti e dei No Tav. Noi, che siamo in presidio permanente, lo sappiamo bene: il sostegno e la solidarietà di altri gruppi aiuta sempre quando la lotta è in corso: prima di tutto per il morale, e poi per la visibilità dell’azione. Bisogna dire che una marcia è sovente occasione di mobilitazione, di partecipazione, a volte di rilancio di queste rivendicazioni. Camminare insieme è la nostra forma di lotta, pacifica e solidale”.

FRONTIERE MENTALI
In questo camminare, ci sono anche le donne. Sono importanti, poiché, come dice Valerie Motio Kamga, che rappresenta la Dominter, associazione di donne migranti internazionali: “ben più pericoloso è oggi l’attraversamento di altre frontiere che non sono terrestri ma mentali, sociali ed economiche”. Ha un sorriso gentile e scandisce bene ciò che ha da dire per farsi capire da tutti, francesi e italiani: “Durante tutta la nostra marcia, questa sarà la connotazione di frontiera, nel senso più complesso e profondo, che noi vogliamo mettere in risalto. 
Valerie Françoise Motio Kamba
Sono queste, infatti, le frontiere che la marcia vuole attraversare. Per ciò che è sorto, vive e perdura nel cuore dell’Europa politica: un dibattito effettivo sulle barriere opposte dagli Stati alla reale legalità degli uomini. Quando si dice no alle frontiere, bisogna anche avere il coraggio di negare le altre, quelle che abbiamo dentro: religiose, culturali e di genere”.

IL FUTURO
Queste sono le scommesse della marcia. Una manifestazione europea che, iniziata il 2 giugno da Bruxelles, non si concluderà il 2 luglio con il semplice arrivo presso il Parlamento Europeo a Strasburgo, ma si prolungherà verso un altro obiettivo, quello di “far diventare la coalizione internazionale dei Sans Papiers e migranti una struttura permanente a livello europeo, coinvolgendo tutti gli Stati: una vera e propria Internazionale capace di intervenire con la sua propria visione autonoma, nel dibattito dei movimenti del Forum sociale mondiale sulle alternative al capitalismo”.

una partecipante legge la pagina
economica di Le Monde
Assemblea in piazza Madama Cristina



















IL CORAGGIO: THOMAS SANKARA
E’ sempre Valerie che ricorda a tutti, a conclusione della affollata e molto partecipata assemblea nel cuore di San Salvario, la figura di Thomas Sankara, il giovane presidente del Burkina Fasu, assassinato il 15 ottobre del 1987 durante un colpo di Stato architettato con l’appoggio di Francia e Stati Uniti. Lui, che per le riforme applicate al suo piccolo e povero paese, veniva chiamato anche il Che Guevara d’Africa, diceva che “bisogna avere il coraggio di cominciare, il coraggio di ricominciare e il coraggio di continuare”. Tutt’intorno ragazzi in pettorina fermano le persone nella piazza e spiegano con pazienza, in francese, quali sono le ragioni della marcia. Qualche anziano e qualche straniero si avvicinano, qualcun'altro si ferma ad ascoltare. Ciò che manca è l’attenzione dei media, che è evidente e viene sottolineata ad ogni intervento. C’è ancora molto da fare, soprattutto qui in Italia.

FESTA FINALE
Intanto la manifestazione si concluderà stasera, domenica 1 luglio dalle ore 17, presso il parco del Valentino con musica, cibo, balli e, ovviamente lo schermo per seguire la partita.
Un’occasione per informarsi, incontrarsi, scambiare esperienze ma soprattutto ribadire che un altro mondo, e un’altra Europa, solidale e che tenga conto della diversità di tutti coloro che la abitano, è possibile.

La marcia europea dei sans papiers e dei migranti riprenderà il cammino per Strasburgo lunedì 2 luglio alle ore 7 del mattino con raduno davanti a Porta Nuova.
Per info:
http://ec.europa.eu/justice/opinion/your-rights-your-future/




Piazza Madama Cristina, mercoledì 27 giugno














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