martedì 19 giugno 2012

TRA DUE ANNI SIAMO A CASA

Viaggio tra gli abitati dei paesi distrutti a tre anni dal sisma che devastò L’Aquila




La Onna di ieri che si trova arrivando oggi ricorda in modo impressionante le vecchie immagini in bianco e nero di Berlino rasa al suolo dopo i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. 

Onna, centro storico






Onna targa alla memoria
Sopravvivono in piedi la stazione, miracolosamente stretta tra fasce di ponteggi speciali, e la casa dove una lapide ricorda la fucilazione, avvenuta per mano nazista nel 1944 di venti abitanti innocenti, accusati di aiutare i partigiani: la targa è ora accuratamente protetta e il muro su cui è appoggiata è tenuto su da una doppia fila di tubi. Pare sia stato il governo tedesco a contribuire per far sì che proprio quella facciata, che era la scuola elementare del paese, rimanesse intatta a conservarne memoria








Onna, papaveri rossi
In mezzo alla rovina totale del centro storico, ai ruderi che iniziano ad essere colonizzati dalle erbacce, sopravvive un solo balcone: sul muro rimasto i papaveri rosseggiano al sole, unica viva presenza in quella totale devastazione. Dal tavolo in casa una tovaglia fiorata pende dimenticata, oggi come allora, un poco scivolata verso il pavimento. Ferma a catturare anche lei quel preciso istante, non un altro. Un solo, unico momento nella storia della gente, di coloro che l'hanno dovuta abbandonare di gran fretta.




Onna, vite scoperchiate




Onna, bagno





































 Se si gira l’angolo della via, però, un cartello in legno avvisa subito che quello che sta oltre è il villaggio messo su dalla Provincia di Trento e dalla sua protezione civile: casette in fila, colorate, tutte ad un piano soltanto. Lo fanno somigliare stranamente ad un centro per vacanze o ad un quartiere residenziale californiano: ogni villetta con la sua brava tettoia in legno e il medesimo pezzo di giardino, ben curato, sul davanti. Per entrare si passa davanti ad una piccola chiesa
 in legno, che somiglia più ad un gigantesco giocattolo, dove è sistemata anche la bacheca che illustra il progetto MAP (Moduli Abitativi Provvisori) di Onna. "Voluto e discusso da tutta la popolazione", si precisa più sotto. Il vecchio signore che si siede sulla panchina nella piccola piazza pulita e moderna, spiega di essere un imprenditore in pensione. Vive, dice, con la moglie in 48 metri quadri: “E’ difficile, sa? Siamo in due, avevo appena fatto allargare la nostra casa”. Poi guarda fiducioso oltre l'ingresso, là dove rimangono le macerie dell'abitato precedente e mi dice che “tanto fra due anni ci torniamo, a casa”.


E’ la stessa cosa che mi ripete un nonno che spinge il passeggino sul pianerottolo comune di una delle palazzine del progetto CASE (Complessi Antisismici Sostenibili Ecocompatibili) di Paganica Uno.

Paganica Uno, strada di accesso

La prima differenza che si nota tra Onna e Paganica Uno è che quest’ultimo è come un quartiere satellite. Mentre a Onna il nuovo villaggio è a pochi passi dal centro storico divorato dal sisma, Paganica dista invece dal suo ben 3 chilometri. Gli edifici, tutti rigorosamente di tre piani, ricordano le palafitte, poiché appoggiano su colonne che possono vibrare senza danni grazie ad un sistema di cuscinetti. Sopra questi basamenti, in due mesi soltanto, sono stati tirati su in fretta e furia tre piani di appartamenti "già arredati". Palazzine costruite, a vederle, senza seguire nessun criterio comune tranne quello dell'altezza e della forma a scatola: alcuni sono coperti di legno che lentamente si imbrunisce al sole di montagna; altri di solido e grigio cemento; alcuni audacemente colorati, altrove lasciati grezzi. Più o meno tutti uguali, bordeggiati dalle stesse file, deserte, di parcheggi. 






La gente si affaccia dai balconi, le porte si spalancano: “Venga su – dice una donna dal terzo piano – venga su che le faccio un caffè: da qui si vede un bel panorama”. Un bel panorama è da stentare a crederci, in quella desolazione di cemento. Ma le montagne d’Abruzzo circondano abbracciando e lasciano spazio allo sguardo. Da Paganica Uno si va via in fretta, appena il tempo di scambiare due parole con qualche anziano abitante per capire che anche qui sono tutti fiduciosi che questa sia una situazione precaria, che avrà fine prima o poi. Nessuno forse ha detto loro che invece proprio i progetti C.A.S.E. sono da considerarsi definitivi, e indistruttibili. 




Paganica Uno, progetto CASE
Quasi tutti gli abitanti dei C.A.S.E. sono in affitto, poiché anche prima del terremoto non erano proprietari di una loro abitazione. Pagano un canone che tutti definiscono  "simbolico". Molti di loro, per questo motivo, sono immigrati. “Sono gli stranieri che vivono le situazioni più difficili, perché non hanno alcuna rete familiare di sostegno”, dice il bravo sindaco di Barisciano, altro comune toccato dal terremoto, che ci accompagna. Ma i servizi, che pure erano stati promessi, non ci sono, o almeno non se ne vedono: non un bar, una farmacia, un negozio, un bancomat, un centro anziani, un’insegna: “Solo una navetta – dice una ragazza di colore che sta passando di fretta – due volte al giorno che va in centro”, dove però non è rimasto in piedi più niente.





Il centro storico di Paganica, dove sono rimaste solo macerie





Paganica

I pianerottoli del progetto Case
“Chi ha i problemi più grossi qui sono proprio le persone che avevano una vita sociale di un certo livello. Gli intellettuali. Le persone colte. Mentre all’inizio c’è stata una grande solidarietà e un senso di comunità che ci tenevano insieme, ora nessuno esce, la gente si sta lasciando andare – dice l’assessore provinciale de L’Aquila Fabrizio D’Alessandro -. La gente ha capito cosa significa perdere la casa”. Ma ciò che più colpisce è il segno della rassegnazione senza prospettive: “Ho 55 anni, abitavo a L’Aquila, nel centro storico. La mia casa non c’è più. Ora ho scelto di venire a stare in affitto qui, a Barisciano”. Chi parla è un uomo a passeggio coi suoi due cani, la mattina molto presto, dietro la scuola elementare costruita nuova di zecca: ha l’aria un po’ arruffata, la barba sfatta. “Ma tanto – dice aggiungendo un sorriso triste – mi manca poco da vivere, ancora”. 



Paganica centro storico
La prima ruspa



Un abitante di Paganica, dove la prima ruspa è arrivata da un mese soltanto, conferma come molti anziani siano annichiliti dalla perdita totale di punti di riferimento. E di come poi, passati ben tre anni dal sisma, ci siano ancora 160 persone in tutta la provincia che vivono in baracche abusive di legno, 180 coloro che sono - ora come allora - sistemati in albergo, sulla costa. 





La nuova chiesa dei Map di Onna




Parliamo di questi sfollati anche sulla porta della chiesa di Onna, dove un matrimonio sta per esser celebrato e  dove sui pochi banchi in legno vengono poste candide orchidee giganti. Il prete è molto indaffarato ma risponde gentilmente: “Un vero disastro: le famiglie stanno ancora insieme per miracolo. Vanno tutti avanti a forza di psicofarmaci”.




Un frate francescano con tanto di sandali e saio si appende alla corda di tre campane, recuperate dalla vecchia chiesa crollata e montate su di un trespolo dalla protezione civile trentina, che ha lasciato tanto di firma. Quella del Lazio ha invece voluto un solo messaggio all’ingresso della piccola e ben curata comunità di casette colorate, ognuna col proprio pezzo di giardino, il portico in legno davanti all’ingresso e lo stendino pieno di bucato ad asciugare: "Saremo sempre con voi", c'è scritto sulla pietra. 
I bambini passano in bicicletta, giocattoli in plastica colorata sono sparpagliati un po’ ovunque. Oggi è domenica. Con buona pace di tutti, naturalmente.




La piazza centrale del Map di Onna



San Martino del Carso

Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro
Di tanti 
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto
Ma nel cuore
nessuna croce manca
E’ il mio cuore 
il paese più straziato


Giuseppe Ungaretti    














Sara Elter

2 commenti:

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