domenica 29 luglio 2012

Managua, Nicaragua. Andata e ritorno



Questa è la cronaca di un viaggio ai confini del mondo. Del nostro mondo. Un mondo dove il 20 per cento degli esseri umani usa e consuma l'80 per cento delle risorse e le spreca. E dove il resto degli esseri umani cerca di vivere riciclando la spazzatura dei primi. I bambini sono preziosi, hanno le mani piccole: la notte lavorano più degli altri, a recuperare i rifiuti provenienti dai quartieri dei ricchi, dove i camion lavorano la notte perché di giorno le loro strade siano pulite e profumate. Dei bambini si occupano in pochi, a pochi sta a cuore il loro destino. I più li prendono a calci, o li sfruttano anche sessualmente: sono i più deboli di questa catena, i più sofferenti, i veri dimenticati. 



Managua, Discarica di Acajualinca - Il magazzino per lo stoccaggio della carta
sara elter


Il Mercato Orientale di Managua è una zona di cui si sente parlare molto. E’ un mercato sconfinato, che occupa un intero quartiere. La gente ci vive, là dentro, i più poveri dei poveri cercano di stare in piedi e cercare un rifugio. Si trova di tutto, anche quello che non si può immaginare. I prezzi sono bassi, molto più bassi che negli altri mercati. Addentrarsi da soli all’interno, che è un vero labirinto di banchetti e baracche, è pericoloso per chiunque. Questa è la cronaca di una giornata al suo interno insieme ai volontari della Quincho Barrilete, associazione che si occupa dei bambini di strada a Managua.


Managua, discarica di Acajualinca
bambino raccoglitore di rifiuti

Il giro è iniziato in una strada qualunque. Insieme a noi, tre educatori tra cui un medico e un donnone di nome Majra; tre esseri umani che, un giorno sì ed uno no, fanno il lungo giro che abbiamo fatto oggi, distribuendo pane, latte, moltissimi abbracci, medicine e soprattutto preservativi. Loro, alla partenza, ci avevano avvertito di levarci tutto ciò che avevamo di prezioso addosso, svuotarci le tasche, non portarci nulla. Io ho disubbidito: per le sigarette. Così mi sono sparite, tra furibonde discussioni dei ragazzi che se le contendevano ringhiando, nel giro di mezzo minuto.
Il giro è iniziato in una strada come tante. Davanti ad un basso fabbricato con la scritta bianca <Chiesa evangelista>, una ventina di bambini stava per terra, coricata sui cartoni. Bambini, cuccioli d'uomo che vivono come animali, sniffando colla che - l'hanno spiegato proprio loro - costa due cordoba ogni barattolo e serve bene per dimenticare, ma brucia i polmoni e le cellule cerebrali. Bambini che rubano per mangiare, che saltellavano felici soltanto perché lunedì li portano tutti al mare. Bambini che tutti prendono a calci, bambini di cui gli adulti abusano per pochi soldi, per un pugno di cibo.




Managua, discarica:
bambino raccoglie rifiuti
Il giro è continuato in posti dove nessun occidentale è mai entrato. La calle (via) de la muerte: la chiamano così perché è tanto stretta che si può passare solo uno per volta e così, se ti vogliono ammazzare per derubarti, lo fanno facilmente senza che tu possa scappare; la strada delle prostitute bambine, sedute in fila davanti a cubicoli capaci di contenere solo un letto e separati dalla strada da una tenda fatta di sacchi neri della spazzatura. Intanto che i tre operatori parlavano, curavano, distribuivano preservativi - <che non sono sufficienti comunque> - mi ha bisbigliato una di loro - un'altra è arrivata con un bambino al collo: avrà avuto un anno, riccioli delicati e grandi occhi scuri. Ho fatto i complimenti al bambino, ma lei non ha avuto nessun indugio, nessun minimo ripensamento: <Te lo regalo> mi ha detto decisa, sporgendomelo.







La fine del percorso è l'apoteosi di questa strada diretta alla fine del mondo, all'ultima catena di questo universo che si sporge in bilico su un baratro infernale, che solo ad immaginare non si può capire: il basurero. L'immondezzaio. Se il mercato orientale rappresenta zona proibita a qualsiasi occidentale, se ci sono delle zone al suo interno dove neppure i nicaraguensi osano entrare, l'immondezzaio del mercato è il buco nero dei buchi neri. 
Montagne di spazzatura sono inframmezzate dalle bancarelle che vendono residui ancora commestibili: la gente va portando rifiuti, e torna portandone via altri. In cima alla catasta più grande, un gruppo di adulti scava con le mani. Anche loro sono attaccati ad un barattolo di colla. Si avvicinano, ci stringono la mano, ci guardano negli occhi, senza parlare: non capiscono cosa facciamo lì. Seriamente. 



Managua, discarica: madre e figlio cercano tra i rifiuti>.


Non si avverte aggressività, nonostante sia l'ora in cui i drogati sono più che saturi dagli effetti della pega, la colla, sniffata. Cosa facciamo lì, chiedono, in mezzo ai dimenticati tra i dimenticati, perché? Vogliono sapere, vedere, parlare: <Ci viene mai nessuno qui> dice il più vecchio, brontolando sottovoce.I tre angeli custodi si incamminano decisi verso un rudere mezzo bruciato, che spunta in mezzo a quella montagna di pattume. Cerco di non guardare intorno a me, mi fisso sulle loro schiene, provo a non pestare almeno i liquami in cui annegano i rifiuti marci. Li seguo dentro quella costruzione mezza distrutta, nelle stanze coi muri anneriti: la casita (la casetta), dove vivono come topi nascosti ragazzi e ragazze più grandi, col cervello ormai bruciato dagli effetti della colla. Majra, Cesar e il medico avevano avvisato prima che lì poteva essere veramente pericoloso. Talmente pericoloso che anche se la mattina <sono ancora lucidi>, come dicono loro, non è possibile prevedere cosa potrebbe accadere. Entriamo, quindi, a nostro rischio. Majra mi lancia un ultimo sguardo per vedere se io, unica altra donna del gruppo, sono veramente convinta di entrare. Dentro quella stanza cavernosa e buia, ripulita appena dai rifiuti che la circondano, intravvedo anche due neonati, uno dei quali gattona indifferente e completamente nudo su quel pavimento putrido. La ragazza che si siede accanto a me è incinta e fra pochi giorni partorisce. Metterà al mondo la sua creatura in quella sorta di corte dei miracoli, al buio, in mezzo ai topi, sfatta dalla colla e senza l'aiuto di nessuno. 





 Un'altra piange. Racconta che ieri hanno arrestato suo "marito". Ogni tanto infatti la polizia fa una retata per accontentare e calmare le proteste dei negozianti del mercato, vittime delle ruberie di questi poveri bambini. <L'hanno arrestato anche se non aveva fatto nulla - mi dice la ragazza al mio fianco - perché ci arrestano senza che abbiamo fatto nulla?>, chiede a Majra, che non sa rispondere e le accarezza il viso, le chiede della gravidanza, le raccomanda di non drogarsi e di mangiare e lei dice <sì, perché ora sono una madre>.

Usciamo da quell’inferno di corsa: ci siamo stati dalle 9 alle 14, senza bere e senza mangiare. Mi tormenta una fame accecante ma anche la nausea. Tutto il viaggio nell’altro mondo l’ho vissuto con gli occhi sgranati, senza più riuscire a dire nemmeno una parola, né di dolore, né di indignazione, né di rabbia. Mayra, uscendo, mi ha detto ciò che per lei forse è un complimento: "Nessun occidentale che ci ha accompagnato è mai riuscito a fare tutto il giro che facciamo noi ogni giorno". Io ce l'ho fatta, vivendo come in un film, come trasportata su un tappeto volante... però quelle erano persone, erano rifiuti veri, era carne marcia, erano avvoltoi e mucche da latte al pascolo... erano soprattutto bambini e bambine che a 12 anni sanno già cos'è un preservativo e come si usa. 




1 commento:

  1. grazie della scrittura dura e vera,e delle foto
    con la loro urgenza e necessità di denuncia

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